domenica 17 maggio 2009

Ateobus di Carta


Acquistando il quotidiano La Repubblica, oggi, vi troverete fra le mani niente di meno che il contestatissimo e molto discusso "Ateobus". Di Carta.
Si, perchè (come l'intestazione dell'inserto a pagina 5 dice) "Per far circolare questo Bus, abbiamo dovuto metterlo sulla pagina che state leggendo."

E così, l'inserto dell'UAAR (Unione degli atei e agnostici razionalisti), figlia della famosa campagna di sensibilizzazione fatta sugli autobus di Genova (con la famosa scritta "La cattiva notizia è che Dio non esiste, quella buona è che non ne hai bisogno"), dopo essere stata per tre volte rifiutata dall'affissione sugli autobus, sbarca sui quotidiani italiani, a riprova della facilità con la quale si parla di certi argomenti nello stato vatican-italiano.

Infatti, come l'inserto ci ricorda, la reclamizzazione dell'esistenza di Dio avviene migliaia di volte ogni giorno (nei luoghi pubblici, nei libri, nei quotidiani, sui muri ecc...), per quale motivo la voce dei 7-10 milioni di persone che non credono in questa entità deve essere soffocata? Ricordiamo inoltre, che le scritte proposte dall UAAR per essere affisse sugli autobus sono le stesse che hanno facilmente circolato in Inghilterra ed in altri paesi europei, tra cui la cattolicissima Spagna. Forse è proprio l'italia che non ce la fa a garantire la costituzionale libertà di parola...

Lo scopo della campagna, va ricordato, non è l'incentivazione all'ateismo, ma solo la richiesta di un equità di trattamento tra chi crede e chi non crede all'interno del nostro paese. A questo proposito vengono messi in discussione gli ingiustificati privilegi ecclesiastici, viene ricordata "l'etica laica" che non si basa sui dieci comandamenti, viene denunciata la pesante influenza del clero in questioni statali, la scarsa informazione riguardo all'8x1000 (quanti sanno come funziona? e che quest'anno è possibile destinarlo all'Abruzzo per gli aiuti ai terremotati?)

La battaglia dell'UAAR è una battaglia verso l'oppressione della religione nel nostro paese, cosicchè uno possa certamente sentirsi libero di credere, ma anche di non credere.
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